mercoledì 19 ottobre 2011

Privato è bello? Forse, se il Pubblico sa controllare...

Cominciamo ad entrare nel vivo: quel rapporto tra Pubblico e Privato che viene chiamato con una parola un po’ altisonante “terziarizzazione”, cioè cedere a terzi attività che, per diseconomie interne è più comodo cedere in blocco ad un terzo pagando un contratto di fornitura. Non sempre è da demonizzare, ma parallelamente, non sempre è da osannare o additare ad efficientamento in quanto “Il Privato ce la sa meglio del Pubblico”. L’attenzione del Pubblico, quindi, dev’essere molto alta: a volte i particolari si nascondono in dettagli profondi e terziarizzazioni sbandierate come “supremi rimedi” si rivelano peggiori del “male da estirpare” poiché sacrificano sull’altare del profitto variabili spiccatamente pubbliche la cui gestione è strategica per lo sviluppo armonico d’una collettività.

Una piccola storia di fantascienza per fissare il concetto, ispirata liberamente dall’Enterprise di Star Trek e al pianeta Venere (in figura), il titolo è: “Abbiamo lasciato il pianeta Terra”.


Abbiamo lasciato il pianeta Terra

Il viaggio dell'astronave inizia... Siamo da poco sfuggiti al campo gravitazionale terrestre e già cominciano i “se” e i “ma”... Una sbirciata nelle nostre vicinanze oltre la Luna... Venere, coperta dalla sua coltre perenne di nubi.

Un informatico dell'equipaggio, addetto al sistema centrale dell' Enterprise, gran manipolatore di bit e codice, pochissimo ferrato in Astronomia e Astrofisica, ma molto influenzato dalle notizie di basso livello divulgate sul Web (ed alquanto saccente) afferma: “Capitano, ho letto che Venere è una specie di Eden coperto di foreste pluviali ed abitato da tante belle venusiane senza veli... Perché non ci facciamo una capatina?”.

Mi giro e lo guardo tra l'ironico ed il compassionevole dicendogli: “Su quale sito pseudo-scientifico hai letto una simile falsità?”, “Su tanti: Venere è descritto come un bellissimo pianeta abitabile ed è a due passi dalla Terra... Dopo che hanno determinato che i cambiamenti climatici in atto sono irreversibili e ci hanno mandato a cercare un nuovo posto dove ospitare la razza umana non hanno tenuto conto che la soluzione era qua vicino!...”, “Ne sei proprio certo?...”, “Molti siti divulgativi dicono così, non vedo il motivo per dubitarne!...”, disse con uno sguardo di sfida.

“Che tracotanza!...”, pensai, e capii che aveva bisogno di una bella lezione... Non sono mai stato cattivo e nemmeno in questa occasione... Sapevo già come sarebbe andata a finire, pertanto rischiai: “Spok, attiva il Compensatore di Heisemberg e teletrasporta il nostro informatico su Venere, così capirà la differenza che intercorre tra ciò che è e ciò che si dice!...”, “No Capitano...”, disse Spok col suo sguardo gelido, “Non me la sento di farlo morire tra atroci tormenti in pochi secondi che, come sofferenza, durano più di una vita intera!...”.

A tali parole terribili il povero informatico rimase basito: “Perché, cosa ha Venere di così brutto?...”. La risposta la diede Spok: “Venere non è il gemello della Terra che i siti che consulti dicono, anche se le dimensioni e le apparenze potrebbero farlo pensare: le nubi che vedi non sono di vapore acqueo, ma di acido solforico. La maggior parte dell'atmosfera non è formata da ossigeno e azoto, ma da anidride carbonica ed è circa cento volte più densa di quella terrestre, per giunta, al suolo la temperatura è quasi di 500 °C. Non è l'acqua ad essere liquida, ma il piombo... Per giunta, tanto per completare il tutto, ruota in senso opposto alla Terra e lo fa tanto lentamente che il suo giorno dura più del suo anno!... Altro che gemello, è tanto simile alla Terra quanto il Dr. Jekill è simile a Mr. Hyde!... Altro che Eden, stando ai miti terrestri, penso sia paragonabile all'Inferno!...”.

Mi girai verso l'informatico, che a quelle parole divenne bianco di paura: “Vuoi ancora essere teletrasportato su Venere?...”, “No!... No!... Non sapevo!.... Non ho approfondito!... Non...”, “Basta adesso... La prossima volta usala la scienza, non impararla in maniera nozionistica dai posti sbagliati... Stai attento alle fonti, usalo il senso critico!...”.


Ora basta fantascienza, mi serviva soltanto per far capire che ciò che sembra ad una occhiata superficiale quasi mai è, anzi, ad una indagine più profonda può nascondere ingannevoli negatività, per questo ho usato la suddetta storia che crea un parallelismo molto forte con questo concetto.

Il tutto per illuminare la mente di chi legge e far capire che “Il diavolo si nasconde nei dettagli” (e aggiungerei “piccoli”) per questo occorre essere vigili e perseveranti. Quante attività del pubblico si è deciso di privatizzarle attraverso un contratto di fornitura? Tante e spesse volte è anche giusto: ha un senso mantenere una componente aziendale il cui compito è solo quello di stampare, imbustare e spedire? Forse no. Ha un senso mantenere una componente aziendale il cui compito è solo quello di creare interrelazioni fisiche tra archivi gestionali automatizzati di struttura nota a-priori? Forse no.

A questo punto, però è giusto chiedersi: ha un senso, nel Pubblico, demandare ad un terzo privato le strategie di sviluppo di un Sistema Informativo quando queste sono diretta emanazione di specifiche esigenze della collettività sulla quale si è chiamati, per Legge, a vigilare? La risposta è ancora no, ma è un “no” profondamente diverso dal primo, giacché muove da principi diametralmente opposti: le esigenze della collettività amministrata sono le variabili di base sulle quali si fondano le “Public Policies” (le scelte pubbliche che, normalmente, in una moderna democrazia si incarnano in leggi) e queste ultime, prese come input dalle Tecnostrutture diventano servizi, diritti, doveri e, in generale, applicazioni di regole volte a far crescere la collettività o, comunque, a fronteggiare strutturalmente una crisi interna od importata.

Nel Pubblico, i compiti primari d’un Sistema Informativo (ormai quasi totalmente coincidente col Sistema Informatico) sono sostanzialmente due:

  • Trasformare le “Public Policies” in funzioni utilizzabili dall’ente e/o dai cittadini.
  • Metabolizzarle, assieme alle altre componenti aziendali, nel tessuto organizzativo, produttivo e sociale.

Detto così, però, il concetto appare riduttivo: la molla principale che guida il tutto è la strategia di riorganizzazione del sistema (che può anche comportare la dismissione di componenti obsolete o non più funzionali) alla luce d’un efficientamento complessivo che abbia come riscontro, a consuntivo, un reale (e quantificabile) vantaggio in termini di competitività del sistema (maggior velocità, maggior precisione, minori consumi, minori costi, minori disagi). Dubito che un terzo privato, guidato comunque dalla logica di conseguire un utile per sé, possa incarnare i suddetti valori più della Tecnostruttura stessa (presa nella sua interezza). Nel caso dei Sistemi Informativi, la sua strategia tenderà a minimizzare i propri costi ed a massimizzare i propri profitti, ne conseguiranno analisi funzionali sommarie e realizzazioni altrettanto sommarie per poi scoprire alla fine che “occorre rimetterci le mani” perché si era trascurato qualcosa di molto importante, ma questo lo si sa a-posteriori e, spesso, per bocca di chi (non-)fruisce dei nuovi servizi (utenti cittadini) e di chi (non-)lavora efficacemente al loro confezionamento (membri dell’organizzazione). Ne sortiscono “panne del sistema”, la cui gravità aumenta proporzionalmente con la complessità, e nuovi costi, giacché una buona parte dell’organizzazione, ahimé, dovrà adoperarsi per mettere a posto quanto consegnato “chiavi in mano”.

Si può eccepire che ci sono le penali contrattuali: vero, che le specifiche sono state date in modo poco chiaro: pure vero, che i test non sono stati eseguiti in maniera profonda: altrettanto affermativo. Ma tutto ciò, in fondo in fondo, significa una cosa sola: l’organizzazione non ha partecipato attivamente all’implementazione della strategia né ha vigilato adeguatamente man mano che si passava dal disegno al prodotto finito, in altri termini, il terzo privato è stato lasciato libero di agire su una conoscenza parziale (che, spesso e volentieri, ben si guarda dall’approfondirla, giacché per lui significa impegnare più risorse, quindi, maggiori costi propri).

Che le “Divisioni Sistemi Informativi” degli enti pubblici, in un panorama tecnologico dominato dal Web (anche “Mobile Web”) e dagli “Open Systems”, dovessero dimagrire è un fatto scontato: l’approccio è completamente mutato, i servizi (e le informazioni) sono accessibili in Rete (nel paradigma Intranet/Extranet/Internet), inoltre il software si stratifica con estrema facilità creando impalcature solide che danno risposta ad una grande pluralità di problematiche gestionali ed operative. Le suddette impalcature, però, per divenire realmente solide vanno costantemente monitorate sino al loro consolidamento secondo un approccio che, tutto sommato, è estremamente semplice e procede in maniera incrementale. L’Ict, d’altronde, è una disciplina fortemente costruttiva e quanto si realizza, in teoria, non va mai perduto, anzi, spesso può essere riutilizzato per realizzare strutture ancor più potenti.

Per fissare le idee, si consideri il Sistema Informatico (= Sistema Informativo) ad oggi (tempo = t). Esso, ovviamente, conterrà archivi e funzioni atti a svolgere l’attività istituzionale. Si prendano in considerazione, adesso:

  • i vincoli dettati dalle nuove “Public Policies”.
  • I vincoli dettati dalle esigenze interne di ottimizzazione.
  • I vincoli dettati dalle esigenze del contesto socio-economico.
  • Le innovazioni tecnologiche disponibili nell’ente o reperibili ad un certo costo preventivamente stimabile.
  • Lo skill disponibile all’interno dell’ente.

Il mix dei cinque punti suddetti costituisce l’input della strategia evolutiva del Sistema Informatico e da questa sortisce il piano di investimento (generalmente pluriennale) fatto di tempi, obiettivi, costi, risparmi/ricavi e verifiche (le c.d. “Milestones”) che porterà il Sistema Informatico dalla situazione al tempo t a quella al tempo t+k, una volta completato il piano di investimento (ipotizzandolo distribuito su k “Milestones”).

Nella suddetta evoluzione, alcuni archivi e funzioni al tempo t potranno risultare obsoleti, ma la linea di tendenza più saggia è quella di riusarli pervenendo ad una “vision” più integrata che, in teoria, dovrebbe:

  • ridurre i costi.
  • Ridurre i tempi di erogazione.
  • Ridurre il tasso d’errore.
  • Ridurre l’impegno in termini di risorse umane.

Il processo è iterativo e già dalle prime realizzazioni (prima “Milestone”) il Sistema Informatico al tempo t si ritrova “avvolto” da un nuovo “strato” di archivi e funzioni che implementa meglio il suo “Core Business” (o almeno così dovrebbe essere), ma già qui cominciano a sorgere i primi problemi manageriali:

  • innanzitutto, non è detto che i vincoli derivanti dalle “Public Policies” possano essere ben contemperati con tutti gli altri e sortire un risultato economico positivo, ma questo significa che la Tecnostruttura dovrebbe agire “a monte” e da protagonista sul processo decisionale che genera le “Public Policies”, non limitarsi ad accettare passivamente quanto il livello Politico decide;
  • in secondo luogo, non è detto che all’interno ci sia lo skill disponibile per mandare avanti l’innovazione pianificata e ci si dovrà, dunque, rivolgere al mercato da un lato per reperire prodotti “chiavi in mano” e dall’altro per reperire risorse di sviluppo software;
  • in terzo luogo, man mano che si avanza nel processo iterativo su descritto e nuovi “strati” prendono corpo si rischia di perdere il contatto con quelli profondi e, peggio ancora, con gli skill che li gestivano e presidiavano.

I rischi sono grossi ed evidenti:

  • la mancanza d’una dialettica alla pari fra Tecnostruttura e Politica rischia di ingenerare costi difficilmente recuperabili derivanti da errori di valutazione. Solo la Tecnostruttura (non la Politica) può dare adeguati riscontri, perché è ella stessa la vera detentrice della conoscenza in materia.
  • Se ci di deve rivolgere al mercato per approvvigionarsi di prodotti o risorse di sviluppo occorre preventivamente valutarne i benefici e, soprattutto, tenere ben saldo il controllo sul proprio “Core Business”, altrimenti si rischia di dover “pagare per avere conoscenza e assistenza” e questo rasenta i limiti dell’assurdo: sarebbe come il padre ricco, ma dissoluto, che fa gestire il suo bilancio familiare da una società esterna. Probabilmente avrà meno pensieri, ma dubito possa ricavarne un’utilità duratura, anzi, correrebbe alla lunga il rischio di non poter più disporre del proprio denaro: certe cose sono indelegabili quasi per principio.
  • Se si perde il contatto con gli strati bassi del proprio “Middleware” si corre il rischio di non riuscire a gestire trasformazioni profonde, con conseguenti panne e costi.

I rischi sono chiari, come anche i problemi che li possono generare, ma come s’è detto prima “il diavolo si nasconde nei piccoli dettagli” e non sempre ciò che appare “ottimo” in realtà lo è. Un proverbio dice che “l’ottimo è nemico del buono”, questo per indurre a non voler “spaccare il capello in quattro”, ma di certo occorre, in primis, saper distinguere ciò che è “buono” da ciò che non lo è, ecco perché la soglia di attenzione dev’essere tenuta alta.

Che fare? Esiste soluzione? Ebbene, si, ma passa attraverso il coinvolgimento dell’intera filiera organizzativa e produttiva. Come detto in un precedente post, la “Business Intelligence” non è un tool informatico (semmai quello è uno strumento che serve ad ampliarla), la “Business Intelligence” vera sono gli uomini: il processo di “Decision Making” non passa solo attraverso i cervelli del Top Management, ma a questi arriva da un processo di consolidamento che parte dal basso. Tale processo dev’essere incentivato e ovviamente governato, ma non certo “zittito” per partito preso. Inoltre, perdere skill in punti nevralgici è comunque dannoso, ma spetta all’attenzione dei dirigenti far si che ciò non accada e questi, a loro volta, devono avere l’umiltà di valorizzare, a tutti i livelli, i propri subordinati (tenendo adeguatamente conto delle loro idee, delle loro azioni e delle loro proposte costruttive). Cos’è, la “logica del coach”? Il “senso d’appartenenza”? la “managerialità”? No… Nulla di tutto questo, solo il semplice senso di responsabilità volto a trarre il massimo dagli strumenti a disposizione per esaltare l’azione e la propositività (a beneficio del “Decision Making”, dunque) delle risorse umane che ricadono sotto la sua gestione.

Quali sono gli strumenti? Il Web, ormai, è ubiquamente diffuso ed il limite è rappresentato non dai mezzi, ma dalle idee in campo. C’è da dire, inoltre, che quasi tutti gli enti della Pubblica Amministrazione (e specialmente quelli di grandi dimensioni) hanno Sistemi Informatici ricolmi di strumenti per gestire le problematiche interne e per svolgere la loro missione istituzionale. La prossima frontiera non è tanto il “guardare dentro” la propria organizzazione in maniera autoreferenziale, ma il “guardare fuori”, adottando un approccio B2C (“Business-to-Consumer”), fatto di funzioni del tipo “richiesta-risposta”, nel rapporto con l’utente (singolo o collettivo che sia) ed un approccio B2B (“Business-to-Business”), fatto di collegamenti tra archivi e PEC, con gli altri enti e le organizzazioni di pubblico interesse (travalicando, qualora occorra, anche i confini nazionali).

E’ uno scenario completamente diverso, anzi, lo si potrebbe veramente definire “un altro pianeta” ed è tutto da costruire con accordi, perseveranza e convinzione. Le norme, del resto, mirano proprio in tal senso e, a dire il vero, se si ha il buon senso di passare “dalla teoria alla pratica” ne sortirebbero economie di scala notevoli che consentirebbero concretamente di superare l’attuale fase di stallo in vista d’un nuovo modello di sviluppo più equo e sostenibile.

La differenza, come al solito, la fanno gli “uomini dell’equipaggio”: non basta siglare accordi quadro o convenzioni, se sono ritenuti validi vanno attuati, se non vanno bene si modificano ma non possono più “rimanere carta” in un contesto dove servono le energie di tutti (e non di alcuni a scapito di altri)…

“Rotta su Giove, Spok!... E’ arrivato il momento di farci dare una spinta gravitazionale per uscire dal Sistema Solare: la ricerca comincia!...”

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