giovedì 7 marzo 2013

Prima di una rivoluzione


A partire dal mio rientro (definitivo) sembra che la Terra stia facendo tutto da sola e nel modo peggiore, come ben s’addice alla “Legge di Murphy”. Vale la pena spendere due parole su quest’ultima legge prima di addentrarsi in meandri più recenti. Wikipedia, dall’alto della sua libertà, la definisce come la mancanza di memoria della probabilità (il fatto che un evento sia improbabile non vuol dire che esso non possa verificarsi già nel corso dei primi tentativi, e che non possa poi ripetersi a distanza di breve tempo). Io amo definirla come il fatto che l’entropia di ciò che esiste (concetto che, nel senso comune è associato al disordine) può rimanere costante od aumentare, ma mai diminuire (la Fisica, almeno, dice così…).

Ma chi ci dice che ciò che aumenta è il disordine? Chi siamo noi per definire compiutamente ciò ch’è ordine o disordine? Non potrebbe essere un naturale aumento di situazioni indipendenti all’interno delle quali ciascun ente trova, per tentativi più o meno maldestri, la sua nicchia ecologica? In fin dei conti, l’evoluzione, nel senso darwiniano del termine, è piena d’esempi di tal genere (estinzioni di massa ed occupazione degli spazi lasciati liberi da parte di altri esseri viventi).

Lasciamo da parte la Fisica ed immergiamoci in ciò che sta scuotendo il mondo, specialmente quello che viene definito civilizzato o industrializzato che dir si voglia: scandali, dissolutezza, e strenua difesa dello status quo, trasferendo ad altri ingenti moli di debito frutto d’un denaro sempre più considerato fine anziché mezzo. I consumi sinora sono stati spinti al massimo, facendo credere a tutti che ciò rappresentava l’essenza stessa d’un benessere duraturo.

Ahimé!... E’ arrivata la resa dei conti!... Da più parti si sta prendendo atto che si è giunti al limite critico ed i vari governi stanno cercando di tagliare i costi aggredendo l’aggredibile, che nella maggior parte dei casi altro non è che il Welfare (in quanto più facile da tagliare), vero cemento di tutte le democrazie evolute.

Il popolo, ovviamente, non ci sta ed inizia a prefigurare altre vie per il futuro, adesso confuse ed urlate, poi, sempre meglio strutturate, formalizzate e convergenti ad uno stesso fine: cambiare il modello di sviluppo propendendo più per la sostenibilità che per la crescita infinita (che fisicamente è impossibile). Nuovi scenari stanno prendendo corpo scuotendo dal torpore quelle istituzioni (ormai marce) che sinora hanno rappresentato modelli da emulare.

E’ l’inizio d’una rivoluzione scoppiata in seno al tempio dell’economia (America, Europa, Cina e Sud-Est Asiatico). Nessuno può più permettersi di stare a guardare: è come se avessimo scoperto che un magnifico palazzo era solo un bellissimo intonaco che racchiudeva (e nascondeva) muri e pilastri marci. Vale la pena abbattere e ricostruire, giacché l’intonaco non è struttura portante…

Dove si andrà a finire (o a sbattere, secondo qualcuno che ancora s’arrabbatta per difendere la propria ed ormai indifendibile posizione) non è certo, dipenderà da quanto si riuscirà a costruire e da quanto menti veramente illuminate potranno dare una sterzata definitiva a questo pessimo stato d’involuzione. Inutile citare situazioni concrete: basta guardarsi attorno… Ciò che è importante è che il nuovo resti nuovo e pulito, senza lasciarsi incantare dalle solite sirene d’omerica memoria. Le nuove forze (che ora ai più appaiono “disordine”) devono mantenersi pure ed integre ma non per principio o puntiglio, giacché non servirebbe a nessuno, ma per essere d’esempio costruttivo per far scaturire il giusto “mea culpa” in tutti coloro che hanno portato il mondo sino a questo stato.

Non servono frasi altisonanti né citazioni di luminari (anche se è giusto trarre insegnamento dalla storia), occorre prendere atto che un modello è morto (o meglio, agonizzante) ed un altro è nato col compito di costituire un nuovo paradigma per il futuro gettandosi alle spalle (seppur ricordandoli, per monito) gli errori del passato.