mercoledì 19 ottobre 2011

Privato è bello? Forse, se il Pubblico sa controllare...

Cominciamo ad entrare nel vivo: quel rapporto tra Pubblico e Privato che viene chiamato con una parola un po’ altisonante “terziarizzazione”, cioè cedere a terzi attività che, per diseconomie interne è più comodo cedere in blocco ad un terzo pagando un contratto di fornitura. Non sempre è da demonizzare, ma parallelamente, non sempre è da osannare o additare ad efficientamento in quanto “Il Privato ce la sa meglio del Pubblico”. L’attenzione del Pubblico, quindi, dev’essere molto alta: a volte i particolari si nascondono in dettagli profondi e terziarizzazioni sbandierate come “supremi rimedi” si rivelano peggiori del “male da estirpare” poiché sacrificano sull’altare del profitto variabili spiccatamente pubbliche la cui gestione è strategica per lo sviluppo armonico d’una collettività.

Una piccola storia di fantascienza per fissare il concetto, ispirata liberamente dall’Enterprise di Star Trek e al pianeta Venere (in figura), il titolo è: “Abbiamo lasciato il pianeta Terra”.


Abbiamo lasciato il pianeta Terra

Il viaggio dell'astronave inizia... Siamo da poco sfuggiti al campo gravitazionale terrestre e già cominciano i “se” e i “ma”... Una sbirciata nelle nostre vicinanze oltre la Luna... Venere, coperta dalla sua coltre perenne di nubi.

Un informatico dell'equipaggio, addetto al sistema centrale dell' Enterprise, gran manipolatore di bit e codice, pochissimo ferrato in Astronomia e Astrofisica, ma molto influenzato dalle notizie di basso livello divulgate sul Web (ed alquanto saccente) afferma: “Capitano, ho letto che Venere è una specie di Eden coperto di foreste pluviali ed abitato da tante belle venusiane senza veli... Perché non ci facciamo una capatina?”.

Mi giro e lo guardo tra l'ironico ed il compassionevole dicendogli: “Su quale sito pseudo-scientifico hai letto una simile falsità?”, “Su tanti: Venere è descritto come un bellissimo pianeta abitabile ed è a due passi dalla Terra... Dopo che hanno determinato che i cambiamenti climatici in atto sono irreversibili e ci hanno mandato a cercare un nuovo posto dove ospitare la razza umana non hanno tenuto conto che la soluzione era qua vicino!...”, “Ne sei proprio certo?...”, “Molti siti divulgativi dicono così, non vedo il motivo per dubitarne!...”, disse con uno sguardo di sfida.

“Che tracotanza!...”, pensai, e capii che aveva bisogno di una bella lezione... Non sono mai stato cattivo e nemmeno in questa occasione... Sapevo già come sarebbe andata a finire, pertanto rischiai: “Spok, attiva il Compensatore di Heisemberg e teletrasporta il nostro informatico su Venere, così capirà la differenza che intercorre tra ciò che è e ciò che si dice!...”, “No Capitano...”, disse Spok col suo sguardo gelido, “Non me la sento di farlo morire tra atroci tormenti in pochi secondi che, come sofferenza, durano più di una vita intera!...”.

A tali parole terribili il povero informatico rimase basito: “Perché, cosa ha Venere di così brutto?...”. La risposta la diede Spok: “Venere non è il gemello della Terra che i siti che consulti dicono, anche se le dimensioni e le apparenze potrebbero farlo pensare: le nubi che vedi non sono di vapore acqueo, ma di acido solforico. La maggior parte dell'atmosfera non è formata da ossigeno e azoto, ma da anidride carbonica ed è circa cento volte più densa di quella terrestre, per giunta, al suolo la temperatura è quasi di 500 °C. Non è l'acqua ad essere liquida, ma il piombo... Per giunta, tanto per completare il tutto, ruota in senso opposto alla Terra e lo fa tanto lentamente che il suo giorno dura più del suo anno!... Altro che gemello, è tanto simile alla Terra quanto il Dr. Jekill è simile a Mr. Hyde!... Altro che Eden, stando ai miti terrestri, penso sia paragonabile all'Inferno!...”.

Mi girai verso l'informatico, che a quelle parole divenne bianco di paura: “Vuoi ancora essere teletrasportato su Venere?...”, “No!... No!... Non sapevo!.... Non ho approfondito!... Non...”, “Basta adesso... La prossima volta usala la scienza, non impararla in maniera nozionistica dai posti sbagliati... Stai attento alle fonti, usalo il senso critico!...”.


Ora basta fantascienza, mi serviva soltanto per far capire che ciò che sembra ad una occhiata superficiale quasi mai è, anzi, ad una indagine più profonda può nascondere ingannevoli negatività, per questo ho usato la suddetta storia che crea un parallelismo molto forte con questo concetto.

Il tutto per illuminare la mente di chi legge e far capire che “Il diavolo si nasconde nei dettagli” (e aggiungerei “piccoli”) per questo occorre essere vigili e perseveranti. Quante attività del pubblico si è deciso di privatizzarle attraverso un contratto di fornitura? Tante e spesse volte è anche giusto: ha un senso mantenere una componente aziendale il cui compito è solo quello di stampare, imbustare e spedire? Forse no. Ha un senso mantenere una componente aziendale il cui compito è solo quello di creare interrelazioni fisiche tra archivi gestionali automatizzati di struttura nota a-priori? Forse no.

A questo punto, però è giusto chiedersi: ha un senso, nel Pubblico, demandare ad un terzo privato le strategie di sviluppo di un Sistema Informativo quando queste sono diretta emanazione di specifiche esigenze della collettività sulla quale si è chiamati, per Legge, a vigilare? La risposta è ancora no, ma è un “no” profondamente diverso dal primo, giacché muove da principi diametralmente opposti: le esigenze della collettività amministrata sono le variabili di base sulle quali si fondano le “Public Policies” (le scelte pubbliche che, normalmente, in una moderna democrazia si incarnano in leggi) e queste ultime, prese come input dalle Tecnostrutture diventano servizi, diritti, doveri e, in generale, applicazioni di regole volte a far crescere la collettività o, comunque, a fronteggiare strutturalmente una crisi interna od importata.

Nel Pubblico, i compiti primari d’un Sistema Informativo (ormai quasi totalmente coincidente col Sistema Informatico) sono sostanzialmente due:

  • Trasformare le “Public Policies” in funzioni utilizzabili dall’ente e/o dai cittadini.
  • Metabolizzarle, assieme alle altre componenti aziendali, nel tessuto organizzativo, produttivo e sociale.

Detto così, però, il concetto appare riduttivo: la molla principale che guida il tutto è la strategia di riorganizzazione del sistema (che può anche comportare la dismissione di componenti obsolete o non più funzionali) alla luce d’un efficientamento complessivo che abbia come riscontro, a consuntivo, un reale (e quantificabile) vantaggio in termini di competitività del sistema (maggior velocità, maggior precisione, minori consumi, minori costi, minori disagi). Dubito che un terzo privato, guidato comunque dalla logica di conseguire un utile per sé, possa incarnare i suddetti valori più della Tecnostruttura stessa (presa nella sua interezza). Nel caso dei Sistemi Informativi, la sua strategia tenderà a minimizzare i propri costi ed a massimizzare i propri profitti, ne conseguiranno analisi funzionali sommarie e realizzazioni altrettanto sommarie per poi scoprire alla fine che “occorre rimetterci le mani” perché si era trascurato qualcosa di molto importante, ma questo lo si sa a-posteriori e, spesso, per bocca di chi (non-)fruisce dei nuovi servizi (utenti cittadini) e di chi (non-)lavora efficacemente al loro confezionamento (membri dell’organizzazione). Ne sortiscono “panne del sistema”, la cui gravità aumenta proporzionalmente con la complessità, e nuovi costi, giacché una buona parte dell’organizzazione, ahimé, dovrà adoperarsi per mettere a posto quanto consegnato “chiavi in mano”.

Si può eccepire che ci sono le penali contrattuali: vero, che le specifiche sono state date in modo poco chiaro: pure vero, che i test non sono stati eseguiti in maniera profonda: altrettanto affermativo. Ma tutto ciò, in fondo in fondo, significa una cosa sola: l’organizzazione non ha partecipato attivamente all’implementazione della strategia né ha vigilato adeguatamente man mano che si passava dal disegno al prodotto finito, in altri termini, il terzo privato è stato lasciato libero di agire su una conoscenza parziale (che, spesso e volentieri, ben si guarda dall’approfondirla, giacché per lui significa impegnare più risorse, quindi, maggiori costi propri).

Che le “Divisioni Sistemi Informativi” degli enti pubblici, in un panorama tecnologico dominato dal Web (anche “Mobile Web”) e dagli “Open Systems”, dovessero dimagrire è un fatto scontato: l’approccio è completamente mutato, i servizi (e le informazioni) sono accessibili in Rete (nel paradigma Intranet/Extranet/Internet), inoltre il software si stratifica con estrema facilità creando impalcature solide che danno risposta ad una grande pluralità di problematiche gestionali ed operative. Le suddette impalcature, però, per divenire realmente solide vanno costantemente monitorate sino al loro consolidamento secondo un approccio che, tutto sommato, è estremamente semplice e procede in maniera incrementale. L’Ict, d’altronde, è una disciplina fortemente costruttiva e quanto si realizza, in teoria, non va mai perduto, anzi, spesso può essere riutilizzato per realizzare strutture ancor più potenti.

Per fissare le idee, si consideri il Sistema Informatico (= Sistema Informativo) ad oggi (tempo = t). Esso, ovviamente, conterrà archivi e funzioni atti a svolgere l’attività istituzionale. Si prendano in considerazione, adesso:

  • i vincoli dettati dalle nuove “Public Policies”.
  • I vincoli dettati dalle esigenze interne di ottimizzazione.
  • I vincoli dettati dalle esigenze del contesto socio-economico.
  • Le innovazioni tecnologiche disponibili nell’ente o reperibili ad un certo costo preventivamente stimabile.
  • Lo skill disponibile all’interno dell’ente.

Il mix dei cinque punti suddetti costituisce l’input della strategia evolutiva del Sistema Informatico e da questa sortisce il piano di investimento (generalmente pluriennale) fatto di tempi, obiettivi, costi, risparmi/ricavi e verifiche (le c.d. “Milestones”) che porterà il Sistema Informatico dalla situazione al tempo t a quella al tempo t+k, una volta completato il piano di investimento (ipotizzandolo distribuito su k “Milestones”).

Nella suddetta evoluzione, alcuni archivi e funzioni al tempo t potranno risultare obsoleti, ma la linea di tendenza più saggia è quella di riusarli pervenendo ad una “vision” più integrata che, in teoria, dovrebbe:

  • ridurre i costi.
  • Ridurre i tempi di erogazione.
  • Ridurre il tasso d’errore.
  • Ridurre l’impegno in termini di risorse umane.

Il processo è iterativo e già dalle prime realizzazioni (prima “Milestone”) il Sistema Informatico al tempo t si ritrova “avvolto” da un nuovo “strato” di archivi e funzioni che implementa meglio il suo “Core Business” (o almeno così dovrebbe essere), ma già qui cominciano a sorgere i primi problemi manageriali:

  • innanzitutto, non è detto che i vincoli derivanti dalle “Public Policies” possano essere ben contemperati con tutti gli altri e sortire un risultato economico positivo, ma questo significa che la Tecnostruttura dovrebbe agire “a monte” e da protagonista sul processo decisionale che genera le “Public Policies”, non limitarsi ad accettare passivamente quanto il livello Politico decide;
  • in secondo luogo, non è detto che all’interno ci sia lo skill disponibile per mandare avanti l’innovazione pianificata e ci si dovrà, dunque, rivolgere al mercato da un lato per reperire prodotti “chiavi in mano” e dall’altro per reperire risorse di sviluppo software;
  • in terzo luogo, man mano che si avanza nel processo iterativo su descritto e nuovi “strati” prendono corpo si rischia di perdere il contatto con quelli profondi e, peggio ancora, con gli skill che li gestivano e presidiavano.

I rischi sono grossi ed evidenti:

  • la mancanza d’una dialettica alla pari fra Tecnostruttura e Politica rischia di ingenerare costi difficilmente recuperabili derivanti da errori di valutazione. Solo la Tecnostruttura (non la Politica) può dare adeguati riscontri, perché è ella stessa la vera detentrice della conoscenza in materia.
  • Se ci di deve rivolgere al mercato per approvvigionarsi di prodotti o risorse di sviluppo occorre preventivamente valutarne i benefici e, soprattutto, tenere ben saldo il controllo sul proprio “Core Business”, altrimenti si rischia di dover “pagare per avere conoscenza e assistenza” e questo rasenta i limiti dell’assurdo: sarebbe come il padre ricco, ma dissoluto, che fa gestire il suo bilancio familiare da una società esterna. Probabilmente avrà meno pensieri, ma dubito possa ricavarne un’utilità duratura, anzi, correrebbe alla lunga il rischio di non poter più disporre del proprio denaro: certe cose sono indelegabili quasi per principio.
  • Se si perde il contatto con gli strati bassi del proprio “Middleware” si corre il rischio di non riuscire a gestire trasformazioni profonde, con conseguenti panne e costi.

I rischi sono chiari, come anche i problemi che li possono generare, ma come s’è detto prima “il diavolo si nasconde nei piccoli dettagli” e non sempre ciò che appare “ottimo” in realtà lo è. Un proverbio dice che “l’ottimo è nemico del buono”, questo per indurre a non voler “spaccare il capello in quattro”, ma di certo occorre, in primis, saper distinguere ciò che è “buono” da ciò che non lo è, ecco perché la soglia di attenzione dev’essere tenuta alta.

Che fare? Esiste soluzione? Ebbene, si, ma passa attraverso il coinvolgimento dell’intera filiera organizzativa e produttiva. Come detto in un precedente post, la “Business Intelligence” non è un tool informatico (semmai quello è uno strumento che serve ad ampliarla), la “Business Intelligence” vera sono gli uomini: il processo di “Decision Making” non passa solo attraverso i cervelli del Top Management, ma a questi arriva da un processo di consolidamento che parte dal basso. Tale processo dev’essere incentivato e ovviamente governato, ma non certo “zittito” per partito preso. Inoltre, perdere skill in punti nevralgici è comunque dannoso, ma spetta all’attenzione dei dirigenti far si che ciò non accada e questi, a loro volta, devono avere l’umiltà di valorizzare, a tutti i livelli, i propri subordinati (tenendo adeguatamente conto delle loro idee, delle loro azioni e delle loro proposte costruttive). Cos’è, la “logica del coach”? Il “senso d’appartenenza”? la “managerialità”? No… Nulla di tutto questo, solo il semplice senso di responsabilità volto a trarre il massimo dagli strumenti a disposizione per esaltare l’azione e la propositività (a beneficio del “Decision Making”, dunque) delle risorse umane che ricadono sotto la sua gestione.

Quali sono gli strumenti? Il Web, ormai, è ubiquamente diffuso ed il limite è rappresentato non dai mezzi, ma dalle idee in campo. C’è da dire, inoltre, che quasi tutti gli enti della Pubblica Amministrazione (e specialmente quelli di grandi dimensioni) hanno Sistemi Informatici ricolmi di strumenti per gestire le problematiche interne e per svolgere la loro missione istituzionale. La prossima frontiera non è tanto il “guardare dentro” la propria organizzazione in maniera autoreferenziale, ma il “guardare fuori”, adottando un approccio B2C (“Business-to-Consumer”), fatto di funzioni del tipo “richiesta-risposta”, nel rapporto con l’utente (singolo o collettivo che sia) ed un approccio B2B (“Business-to-Business”), fatto di collegamenti tra archivi e PEC, con gli altri enti e le organizzazioni di pubblico interesse (travalicando, qualora occorra, anche i confini nazionali).

E’ uno scenario completamente diverso, anzi, lo si potrebbe veramente definire “un altro pianeta” ed è tutto da costruire con accordi, perseveranza e convinzione. Le norme, del resto, mirano proprio in tal senso e, a dire il vero, se si ha il buon senso di passare “dalla teoria alla pratica” ne sortirebbero economie di scala notevoli che consentirebbero concretamente di superare l’attuale fase di stallo in vista d’un nuovo modello di sviluppo più equo e sostenibile.

La differenza, come al solito, la fanno gli “uomini dell’equipaggio”: non basta siglare accordi quadro o convenzioni, se sono ritenuti validi vanno attuati, se non vanno bene si modificano ma non possono più “rimanere carta” in un contesto dove servono le energie di tutti (e non di alcuni a scapito di altri)…

“Rotta su Giove, Spok!... E’ arrivato il momento di farci dare una spinta gravitazionale per uscire dal Sistema Solare: la ricerca comincia!...”

mercoledì 12 ottobre 2011

La Pubblica Amministrazione che decide in un mondo che cambia

Eccomi di nuovo, per affrontare un altro tema caldo solo sfiorato nel primo post, ma che a mio avviso segna il passaggio da un vecchio modo di fare Pubblica Amministrazione ad uno totalmente nuovo (almeno qui in Italia): il Dirigente pubblico che decide (e rischia) in maniera imprenditoriale, seppur guidato dalle leggi dello Stato e dal principio pubblicistico d’agire per la crescita socio-economica della collettività amministrata.

Avevo anche fugacemente accennato al fatto che le “idee imprenditoriali” non emanano solo da una singola mente illuminata (quella del Dirigente), ma da tutte le intelligenze presenti nell’ente o nell’azienda. Sul tema sono stati scritti fiumi di carta, libri, pagine Web, ma, ahimè, passare dal pensiero all’azione è difficile e questa difficoltà è direttamente proporzionale alla grandezza dell’ente/azienda. Si potrebbe presupporre, allora che enti (o aziende) di piccole dimensioni siano più propense al decisionismo e questo in un certo senso è vero, ma si scontra con le interferenze del potere politico e con le pressioni del contesto sociale nel quale agiscono (contesto, in fondo in fondo, riconducibile a politiche pubbliche mal implementate, quindi, un’altra volta al potere politico che non ha saputo cogliere i “semi che potevano dar frutto” e, peggio ancora, non li ha adeguatamente coltivati per estrarne risultato).

Alcune cause sembrano “strutturali” e difficilmente superabili: assenza di infrastrutture, scarsa industrializzazione, convinzione che si può continuare a vivere d’assistenzialismo, convinzione (diretta o indotta da altri) che cambiare può rappresentare un salto nel buio, cieca amministrazione della propria “poltrona” senza preoccuparsi che i privilegi per sé spesso costituiscano il disagio di altri e tante altre situazioni che, piaccia o non piaccia, sono riconducibili ad un settore pubblico che della decisione non ha sinora fatto il suo reale cavallo di battaglia.

Sorge subito una domanda: perché il Privato ci riesce? La risposta è quasi scontata: perché mosso dall’utile e dalla necessità d’essere competitivo in un mondo che cambia, spinto (grazie al fenomeno Internet) da una globalizzazione sempre più reale. A tutt’oggi, però, parlare di “utile” nel Pubblico è quasi una bestemmia: quasi nessuno ha preso in seria considerazione che “utile” può anche essere introdurre meccanismi più efficienti ed efficaci finalizzati a ridurre il rischio di frodi, ad abbattere i tempi di definizione e, conseguentemente, ad iniettare competitività nel sistema.

Le idee ci sono e le infrastrutture anche: spesso non servono autostrade, ma una efficiente rete telematica e questa è ormai una realtà in quasi tutto il contesto nazionale (atteso il basso costo della tecnologia). Cosa manca allora? La perseveranza, la progettualità e la cultura del risultato anche (anzi, soprattutto) nel Pubblico, variabili ancora poco presenti e, quando qualcuno le porta avanti, soffocate dalla burocrazia conservativa che mal s’adatta alla situazione attuale.

Un aneddoto può chiarire la situazione con un’immagine tra il serio ed il faceto, simile ad una barzelletta ma contenente in essa l’attuale immobilismo di molti comparti della Pubblica Amministrazione. Diamogli un titolo… “Il Dirigente e il Contadino”.

Il Dirigente e il Contadino

Un giorno, non molto tempo fa, un “pezzo grosso” di un Ministero va in pensione… “Finalmente!...”, disse tra sé, “Ora potrò perseguire la mia passione: coltivare la terra!...”.

Comprò così un grande appezzamento di terra (del resto ce n’era in abbondanza e a basso prezzo, visto che nella società ben pochi erano disposti a “spaccarsi la schiena” quando, tra una assistenza e l’altra, sembrava ci fosse benessere per tutti) e decise d’impiantare un bel frutteto.

“Un momento!...”, pensò, “Ma io non capisco nulla di come si coltiva un frutteto!...”. Decise, così di chiedere aiuto ad un Contadino del luogo e questo si prestò ad insegnargli il mestiere. Lo avvisò, però: “Attento, il lavoro nei campi è duro e non ci sono orari o cartellini!… Devi essere disposto a seguire pedissequamente quello che ti dico se vuoi imparare!… Si vede bene che a un certo tipo di vita non sei mai stato abituato!...”.

Il Dirigente, però, era animato da una grande buona volontà e con umiltà acconsentì. “Cominceremo da domani all’albeggiare!...”, gli disse il Contadino e lui, all’alba del giorno dopo, si presentò. “Eccomi!...”, disse rivolgendosi al Contadino, “Che devo fare?...”. Il Contadino gli disse: “Vedi quel mucchio di concime organico con vicino la carriola e la pala?...”, “Si!...”, “Devi spargerlo uniformemente su tutto il campo arato, a mezzogiorno tornerò a vedere cos’hai fatto!...”.

Il mucchio di concime era enorme ed il campo arato anche, ma il Dirigente non si scoraggiò e prima di mezzogiorno, stanco e sudato, aveva finito. Il Contadino arrivò e si compiacque: “Bene!...”, disse, diciamo che il primo compito l’hai superato a pieni voti, ma non cullarti!… Non è ancora finita!... Vedi quei sacchi d’orzo? Devi seminarlo nel campo concimato, stasera tornerò a vedere cos’hai fatto!...”.

Anche stavolta il Dirigente si comportò in maniera egregia ed il Contadino gli disse “Perfetto!... Stai cominciando ad imparare!... Ora torna a casa e riposati, domani all’alba ti darò un nuovo compito!...”. Ormai sfinito, ma contento, il Dirigente tornò a casa, riposò ed all’albeggiare del giorno dopo, puntuale, si presentò: “Cosa devo fare?...”, “Vedi quelle mele in fondo al magazzino?...”, “Si!...”, “Devi separare le grandi dalle piccole, a mezzogiorno tornerò a vedere cos’hai fatto!...”.

Venne mezzogiorno ed il Contadino tornò, ma stavolta trovò il mucchio di mele intatto ed il Dirigente davanti al mucchio con una mela nella destra ed una nella sinistra che continuava a guardarle alternativamente. “Che t’è successo?!... Perché non hai fatto nulla?!...”, disse il Contadino allibito, “Hai ragione!...”, disse il Dirigente, “Ma adesso c’era da decidere!...”.

Sentii questa storiella come dissacrazione del poco decisionismo presente nella Tecnostruttura pubblica, non so come finisce, ognuno metta la conclusione che vuole, ma la situazione reale, in molti casi non è diversa: esempi di grandi Dirigenti pubblici che per decidere “aspettano l’imbeccata o la benedizione di qualcuno più in alto” ce ne sono stati (e ce ne sono) tanti, forse troppi… Purtroppo è un fatto terribilmente normale che fa si che, a tutt’oggi, non sia la Tecnostruttura a guidare l’azione della Politica, ma l’esatto contrario. Se questo, poi, lo si miscela con un modello di sviluppo che mostra evidenti scricchiolii ne sortisce un autentico “cocktail bomba”: attesa l’incapacità del binomio Tecnostruttura-Politica di creare una sana dialettica costruttiva, ad esso si sostituisce il potere economico e la conseguente crisi viene pagata, spesse volte, dalle fasce più deboli. Solo quegli stati che hanno saputo mantenere viva la suddetta dialettica hanno la forza di fronteggiare il momento critico, ragione di più per affermare che serve un cambio culturale profondo: se la Tecnostruttura non è capace di dare riscontro misurabile d’una “Public Policy” derivante da una decisione politica ci sono ben poche speranze che la Politica trovi soluzioni: chi gli può fornire metriche se colei che materialmente detiene i capitoli di spesa (la Tecnostruttura) si limita a dirgli materialmente “SI” senza avanzare piani di “investimento pubblico” e quindi senza “decidere”?

Non bisogna farsi ingannare, né dire che “non c’è nulla che funziona”: a volte i suddetti piani di investimento ci sono, ma sono realmente perseguiti? Ho seri dubbi, giacché un piano d’investimento fatto da una organizzazione passa necessariamente dalla condivisione del medesimo al suo interno e la condivisione non è una mera trattativa sindacale volta meramente a “distribuire” le risorse che ne potrebbero derivare, ma una raccolta di idee che promanano dai singoli componenti dell’organizzazione e la loro sintesi e valorizzazione alla luce della strategia da perseguire. I Sistemi Informativi, ormai praticamente coincidenti coi Sistemi Informatici, servono soprattutto a questo in questo periodo di pesanti tagli e ristrutturazioni e alla Tecnostruttura il compito di trarre il massimo dalle opportunità che danno. La telematizzazione dei servizi, la condivisione di informazioni ai sensi delle vigenti leggi (in Italia, il Codice dell’amministrazione digitale di cui al D. Lgs. 82/2005 e successivi), l’uso diffuso della Posta Elettronica Certificata, i processi produttivi modellati e semplificati nell’architettura Intranet/Extranet/Internet sono opportunità enormi per superare l’attuale fase di stallo, ma occorre perseverare e questo lo si può fare solo chiamando a raccolta tutte le intelligenze a disposizione. E’ questa la vera “Business Intelligence”, quella che necessariamente passa attraverso la reale valorizzazione della risorsa umana ed un sano principio di meritocrazia che, specialmente qui in Italia, stenta a decollare.

Alcuni direbbero che chiamare a raccolta tutte le intelligenze in azienda è utopia: non è vero!... Il Privato c’è riuscito benissimo ed il Pubblico deve seguirne le orme. Il vero problema è che tra Pubblico e Privato cambia l’oggetto di business: il Privato massimizza i profitti, il Pubblico massimizza l’utile socio-economico affinché diventi crescita e competitività e questo non è ancora ben percepito, né tantomeno attuato. Si potrebbe dire che il Privato seleziona liberamente le sue risorse ed il Pubblico non può farlo, questo è vero e le recenti leggi hanno comunque dato impulso ad una miglior selezione, ma, a mio avviso l’hanno fatto nel modo sbagliato in un contesto altrettanto sbagliato: il focus (anche come prassi generalmente attuata) è concentrato sugli “obblighi del dipendente” senza abbinargli (almeno nei fatti e nelle politiche interne) la “cultura del risultato”. Ci sono senz’altro “obblighi”, ma, parallelamente, va creato un percorso di crescita accessibile a ciascun dipendente e solo dalla contemperazione delle due variabili attuare il processo selettivo, non solo di reclutamento, ma anche di gestione della risorsa umana.

In parole più semplici, non basta dire al dipendente che deve essere presente un certo numero di ore, ma bisogna anche dargli la possibilità d’esprimere le sue idee progettuali nel confezionamento del risultato che può dare e far si che questo possa spenderselo in una progressione di carriera alla luce d’una managerialità diffusa di tutta la filiera organizzativa. Le Intranet sono un ottimo collante e viatico per perseguire il suddetto principio, ma vanno sfruttate a pieno, altrimenti sono solo gigantesche calcolatrici che “a domanda rispondono” senza dare valore aggiunto.

Sarà un percorso lungo che affonda le sue radici nella storia e nella gioventù della Repubblica Italiana. Dopo la seconda guerra mondiale c’era un altissimo tasso di sottocultura ed analfabetismo, era ovvio che negli enti le circolari fungessero da “Tavole della Legge”. Ora il tasso di scolarizzazione è alto e quello culturale anche, ci si può permettere, dunque, d’osservare le normative interne con un occhio più critico e, pur nel loro rispetto, perseguire il risultato dove vogliono giungere esplicitandolo, semmai, assieme ai livelli più alti attraverso una catena decisionale che, con la tecnologia disponibile, potrebbe reagire in brevissimo tempo creando, nel tempo una cultura aziendale diffusa, accessibile e dinamica. Questo non è utopia, è realtà se solo si ha la volontà di perseverare valorizzando in azienda il vero capitale: quello umano. L’Ict, adesso, dà concretamente la possibilità di liberare il pubblico dipendente da compiti ripetitivi esaltando quella che è la sua vera essenza: la possibilità di contribuire al miglioramento delle performances aziendali attraverso il suo contributo di idee e decisioni. E’ questa la prossima sfida ed il prossimo orizzonte d’uno sviluppo sostenibile. E’ questo la nuova “vision” cui può portare l’Ict.

Sentivo, pochi giorni fa, che un comune della Sardegna (Comune di Calrloforte) è diventato il primo comune a “impatto zero” attraverso l’uso di fonti rinnovabili d’energia e d’una fitta rete informatica di controllo dei consumi e dei servizi. Penso sia un esempio da emulare e migliorare, non uno dei tanti spot che “fa notizia”.

Questo è il secondo post del “Capitano Kirk”, che lascia già intravedere la rotta verso il prossimo pianeta… Ne seguiranno altri, ve l’assicuro, basati su esempi e calcoli su potenziali scenari… Il viaggio è appena cominciato: “Ai comandi Spok!...”

mercoledì 5 ottobre 2011

L'Esordio (un po' di storia e l'introduzione)

Il tema del Blog è intrigante: è dalla Rivoluzione Industriale che se ne cerca la sintesi, senza mai riuscire a trovare una quadra. Tanti modelli a confronto, ma nessuno, alla lunga, è risultato sostenibile o, almeno, compatibile con uno sviluppo armonico. Questo mancato funzionamento deriva, a mio avviso, da una verità di fondo che è estremamente semplice: l’essere umano non percepisce di far parte d’un sistema, ma pensa di essere il “re” del sistema e lo sfrutta a suo piacimento per soddisfare i suoi bisogni che, agli albori della storia, erano solo primari (mangiare, ripararsi, sopravvivere), poi, con l’evolversi dell’intelletto, divennero sempre più voluttuari (case più grandi, comodità, divertimenti, etc.) che in una sola parola possono essere assiemati sotto il concetto di “benessere”.

Non voglio qui prendere alla lontana il tutto tracciando una evoluzione storica lunga e noiosa che s’è snodata a partire da un concetto fortemente materialista, né tantomeno intendo dire che l’uomo non sappia trarre insegnamenti dalla storia: l’uomo è un animale capace di pensiero astratto e riesce a discriminare ciò che è costruzione da ciò che è distruzione. L’Arte, la Letteratura, la Scienza e la Filosofia ne sono la prova, ma se si trova di fronte a risorse così grandi da apparirgli infinite, sfrutta al massimo il suo ecosistema esattamente come un animale e, con ciò, inizia una spirale assolutamente non dissimile da quella insita nelle dinamiche degli ecosistemi naturali che si proverà, nel seguito, ad estrinsecare.

1.       Livello 1: “calma piatta” e, chi più chi meno, cerca la sua nicchia di tranquillità. E’ l’ambiente a scandire il ritmo, con la sua grande disponibilità di risorse per soddisfare i bisogni primari. La “calma” prosegue finché alcuni esseri non scoprono di poter trarre vantaggio più degli altri. A tal punto l’equilibrio si turba e, se vi sono risorse a sufficienza ed elementi di retroazione, il sistema si attesterà su un nuovo equilibrio, altrimenti si autodistrugge: nasce la “competizione”.
2.       Livello 2: il sistema è divenuto competitivo. Adesso occorre combattere per conquistare la propria nicchia di sopravvivenza e non tutti ce la fanno. Ancora una volta, se ci sono risorse a sufficienza o qualcuno individua il modo di trovarne di nuove, dopo una fase di sofferenza della popolazione si riosserva una nuova crescita della stessa e, in un nuovo equilibrio, comincia un altro periodo di stabilità strettamente correlato alla disponibilità di risorse. Il sistema consuma e poi trova nuove risorse attraversando, ciclicamente, fasi di contrazione e fasi di espansione fino a quando, purtroppo, si giunge ad un limite strutturale dovuto all’ambiente e le risorse iniziano seriamente a scarseggiare in tutte le loro forme.
3.       Livello 3: il sistema è divenuto estremamente competitivo e la lotta per sopravvivere sempre più cruenta. Non è più stabile ed annaspa tra ondate di apparente crescita o stabilità e repentini capovolgimenti di fronte, a volte assai violenti. L’ambiente, ormai, ha raggiunto un altissimo grado di disordine e c’è ben poco spazio per intravedere nuove soluzioni, ammesso che ve ne siano. Capisaldi che sembravano inviolabili si rivelano effimeri o addirittura dannosi. In Natura, ciò rappresenta l’inizio della fine d’un ecosistema.

Piaccia o non piaccia, anche i sistemi socio-economici, imbevuti di costruzioni, organizzazioni, ricchezza, consumi ed altri concetti similari, seguono le stesse crudeli dinamiche. Sta all’uomo comprenderle a fondo per non incorrere in errori che lui stesso, imbevuto del miope concetto della “disponibilità infinita”, può ingenerare e, in molti casi, ha già ingenerato.

La Democrazia, nata nell’antica Grecia ed evolutasi nelle sue moderne espressioni, deriva senz’altro dalla contemplazione mistica del fatto che l’uomo si sente parte d’un Tutto ed al Tutto vuole somigliare, cercando di colmare la sua limitazione attraverso uno sforzo corale coi suoi consimili, ma discende anche da un concetto molto più materiale: la convinzione che “da solo non può farcela” e cerca, mettendosi al pari con altri per un fine utilitaristico, nuove strategie di sopravvivenza per essere competitivo con la Natura ed altri suoi consimili.

Non è un caso che la Democrazia nacque, storicamente, nell’antica Grecia, dominata dalle Città-Stato (le “Poleis”): ambienti troppo piccoli per garantire benessere a tutti, ma troppo grandi per essere governate da uno solo, quindi, urgeva mettere insieme gli sforzi per decidere e sopravvivere. Al colto misticismo di Atene è storicamente contrapposto il militare materialismo di Sparta: le due facce della medaglia esplicata un capoverso fa e la continua ricerca, con la Forza, ma anche attraverso l’Arte, la Filosofia, la Matematica, la Scienza e la Tecnologia, di nuovi orizzonti di vantaggio e di elevazione.

Cosa c’entra tutto ciò con l’argomento di questo Blog? Agli occhi dei più niente, solo farneticazioni o concetti vuoti, direbbero alcuni con superficialità. In realtà, quanto su esposto rappresenta l’antefatto, la trave portante sulla quale, piaccia o non piaccia, sono state costruite le moderne società, più o meno imbevute del crudo dualismo tra il continuo bisogno di elevarsi culturalmente e spiritualmente e quello, altrettanto continuo ma molto più materiale, di ricercare il benessere per sé. Arte, Cultura e Tecnologia altro non sono che “attrezzi” nelle mani dell’uomo e che lui stesso ha creato per plasmare, attraverso le risorse disponibili, il suo ambiente alla luce del suddetto dualismo. Sta a lui, adesso come agli albori della storia, trovare l’esatta combinazione di variabili per evitare la distruzione e garantirsi un futuro per sé e le generazioni che verrano.

La recente crisi economica, esplosa nel 2009, è, a mio avviso, il segno che il modello di sviluppo sinora adottato è giunto a ridosso del “Livello 3”, ma non per il fatto che mancano risorse, ma per il fatto che lobbies economiche di varia natura tentano disperatamente di resistere per non abbandonare il benessere conquistato (in modo corretto o scorretto, ahimè, poco importa). In questa azione di resistenza soffocano il naturale impulso a ricercare nuove soluzioni che, paradossalmente, potrebbero già essere disponibili, a patto di saperle cercare con strenua perseveranza. E’ difficile, però, cercare nel disordine, alla stessa stregua di quant’è difficile studiare nel rumore. Ancora non è noto verso quale modello si andrà, di certo, quello attuale, basato sulla ferma convinzione che i combustibili fossili possano essere usati all’infinito e che la crescita economica debba basarsi banalmente sui consumi dovrà, a breve-medio termine, cedere il passo ad uno sviluppo più sostenibile ed è proprio qui che le “Public Policies” devono dare il meglio di sé, agendo con lo stesso dinamismo del Privato (con le sue stringenti responsabilità), ma garantendo progresso e sviluppo come solo il Pubblico può fare, giacché è il settore macro-economico che ha il dovere morale e civile di salvaguardare nel tempo (e quindi per il futuro) il benessere della collettività amministrata, travalicando, ove necessario, i confini delle singole nazioni.

Ora, le parole d’ordine sono “Razionalizzare” ed “Efficientare”, da un lato per competere, dall’altro per consumare meno energia. Si, energia… Ma intesa non come sforzo fisico di singoli, ma energia per mandare avanti il sistema, principalmente quella elelettrica che si traduce in miriadi di beni materiali di consumo che, indubbiamente “costano”. Non basta dire “Tutto telematico” per risolvere il problema, servono strategie da perseguire con costanza ed il Pubblico, ormai, non potrà fare a meno del concetto di “utile”. Si, perché c’è un “utile” anche nel Pubblico ed anche se non si traduce materialmente in profitto, ma in possibilità di sviluppo socio-economico (quindi crescita), va ricercato e ben metabolizzato in tutti gli enti, affinché sia la bussola guida verso il cambiamento epocale che ormai tutti, chi più chi meno, aspettano.

E’ ormai tempo di vedere Dirigenti che, con la dovuta etica pubblicistica, si comportano (e rischiano) da imprenditori ed i vertici aziendali (in questo caso degli enti) devono ben accogliere, con la giusta apertura mentale e di cuore, le “idee imprenditoriali” che promanano dall’intera organizzazione e non, come spesso accade, mortificarle o reprimerle. Non voglio fare, in questo Blog, discorsi politici riferiti a questo o a quel Governo, ma solo asseverare il fatto che la Tecnologia dell’Informazione è ormai matura per far compiere al sistema socio economico un enorme salto di qualità immediatamente spendibile, se solo venissero messe in campo politiche adeguate e non si seguissero distorti interessi di lobby, da qualsiasi parte essi provengano.

Purtroppo, non c’è più tempo per “giocare” ad interpretare pedissequamente atti e circolari: è venuto il momento d’agire insieme perseguendo lo spirito delle leggi democratiche per trarne il massimo vantaggio per la collettività, non come spesso accade, “cambiare affinché nulla cambi”, secondo la vecchia logica “gattopardesca”. Occorre partire dagli uomini, da quella “Risorsa Umana” che è la vera ricchezza dell’azienda ma, troppo spesso, mortificata nelle sue più alte espressioni semplicemente perché “non appartenente al pensiero dominante”.

Questo è solo l’esordio… Seguiranno altri post che, riscontrando fatti e potenzialità reali, cercheranno di dire ai più, attraverso un moderno mezzo di comunicazione, che cambiare è possibile e non è neanche difficile se lo si vuole (e si lavora) insieme, lontani da interessi, ostracismi e convinzioni che, ormai, lasciano il tempo che trovano.

Commentate i miei Post, se li ritenete interessanti, e se siete dentro Pubbliche Amministrazioni servitevi delle idee che in essi sono contenute, se le riterrete valide e non senza aver letto prima i commenti degli altri, che mi auguro costruttivi.

E’ tempo che l’astronave “Enterprise”, che in questo caso rappresenta in nostro sistema socio-economico, riprenda il suo volo per cercare un altro pianeta, dopo aver pagato lo scotto delle ostilità trovate sull’ultimo che ha visitato e dopo averne fatto tesoro, solo così il nuovo viaggio non sarà, un’altra volta, verso l’ignoto… Mi auguro che siate in tanti a seguire l’esempio!