mercoledì 12 ottobre 2011

La Pubblica Amministrazione che decide in un mondo che cambia

Eccomi di nuovo, per affrontare un altro tema caldo solo sfiorato nel primo post, ma che a mio avviso segna il passaggio da un vecchio modo di fare Pubblica Amministrazione ad uno totalmente nuovo (almeno qui in Italia): il Dirigente pubblico che decide (e rischia) in maniera imprenditoriale, seppur guidato dalle leggi dello Stato e dal principio pubblicistico d’agire per la crescita socio-economica della collettività amministrata.

Avevo anche fugacemente accennato al fatto che le “idee imprenditoriali” non emanano solo da una singola mente illuminata (quella del Dirigente), ma da tutte le intelligenze presenti nell’ente o nell’azienda. Sul tema sono stati scritti fiumi di carta, libri, pagine Web, ma, ahimè, passare dal pensiero all’azione è difficile e questa difficoltà è direttamente proporzionale alla grandezza dell’ente/azienda. Si potrebbe presupporre, allora che enti (o aziende) di piccole dimensioni siano più propense al decisionismo e questo in un certo senso è vero, ma si scontra con le interferenze del potere politico e con le pressioni del contesto sociale nel quale agiscono (contesto, in fondo in fondo, riconducibile a politiche pubbliche mal implementate, quindi, un’altra volta al potere politico che non ha saputo cogliere i “semi che potevano dar frutto” e, peggio ancora, non li ha adeguatamente coltivati per estrarne risultato).

Alcune cause sembrano “strutturali” e difficilmente superabili: assenza di infrastrutture, scarsa industrializzazione, convinzione che si può continuare a vivere d’assistenzialismo, convinzione (diretta o indotta da altri) che cambiare può rappresentare un salto nel buio, cieca amministrazione della propria “poltrona” senza preoccuparsi che i privilegi per sé spesso costituiscano il disagio di altri e tante altre situazioni che, piaccia o non piaccia, sono riconducibili ad un settore pubblico che della decisione non ha sinora fatto il suo reale cavallo di battaglia.

Sorge subito una domanda: perché il Privato ci riesce? La risposta è quasi scontata: perché mosso dall’utile e dalla necessità d’essere competitivo in un mondo che cambia, spinto (grazie al fenomeno Internet) da una globalizzazione sempre più reale. A tutt’oggi, però, parlare di “utile” nel Pubblico è quasi una bestemmia: quasi nessuno ha preso in seria considerazione che “utile” può anche essere introdurre meccanismi più efficienti ed efficaci finalizzati a ridurre il rischio di frodi, ad abbattere i tempi di definizione e, conseguentemente, ad iniettare competitività nel sistema.

Le idee ci sono e le infrastrutture anche: spesso non servono autostrade, ma una efficiente rete telematica e questa è ormai una realtà in quasi tutto il contesto nazionale (atteso il basso costo della tecnologia). Cosa manca allora? La perseveranza, la progettualità e la cultura del risultato anche (anzi, soprattutto) nel Pubblico, variabili ancora poco presenti e, quando qualcuno le porta avanti, soffocate dalla burocrazia conservativa che mal s’adatta alla situazione attuale.

Un aneddoto può chiarire la situazione con un’immagine tra il serio ed il faceto, simile ad una barzelletta ma contenente in essa l’attuale immobilismo di molti comparti della Pubblica Amministrazione. Diamogli un titolo… “Il Dirigente e il Contadino”.

Il Dirigente e il Contadino

Un giorno, non molto tempo fa, un “pezzo grosso” di un Ministero va in pensione… “Finalmente!...”, disse tra sé, “Ora potrò perseguire la mia passione: coltivare la terra!...”.

Comprò così un grande appezzamento di terra (del resto ce n’era in abbondanza e a basso prezzo, visto che nella società ben pochi erano disposti a “spaccarsi la schiena” quando, tra una assistenza e l’altra, sembrava ci fosse benessere per tutti) e decise d’impiantare un bel frutteto.

“Un momento!...”, pensò, “Ma io non capisco nulla di come si coltiva un frutteto!...”. Decise, così di chiedere aiuto ad un Contadino del luogo e questo si prestò ad insegnargli il mestiere. Lo avvisò, però: “Attento, il lavoro nei campi è duro e non ci sono orari o cartellini!… Devi essere disposto a seguire pedissequamente quello che ti dico se vuoi imparare!… Si vede bene che a un certo tipo di vita non sei mai stato abituato!...”.

Il Dirigente, però, era animato da una grande buona volontà e con umiltà acconsentì. “Cominceremo da domani all’albeggiare!...”, gli disse il Contadino e lui, all’alba del giorno dopo, si presentò. “Eccomi!...”, disse rivolgendosi al Contadino, “Che devo fare?...”. Il Contadino gli disse: “Vedi quel mucchio di concime organico con vicino la carriola e la pala?...”, “Si!...”, “Devi spargerlo uniformemente su tutto il campo arato, a mezzogiorno tornerò a vedere cos’hai fatto!...”.

Il mucchio di concime era enorme ed il campo arato anche, ma il Dirigente non si scoraggiò e prima di mezzogiorno, stanco e sudato, aveva finito. Il Contadino arrivò e si compiacque: “Bene!...”, disse, diciamo che il primo compito l’hai superato a pieni voti, ma non cullarti!… Non è ancora finita!... Vedi quei sacchi d’orzo? Devi seminarlo nel campo concimato, stasera tornerò a vedere cos’hai fatto!...”.

Anche stavolta il Dirigente si comportò in maniera egregia ed il Contadino gli disse “Perfetto!... Stai cominciando ad imparare!... Ora torna a casa e riposati, domani all’alba ti darò un nuovo compito!...”. Ormai sfinito, ma contento, il Dirigente tornò a casa, riposò ed all’albeggiare del giorno dopo, puntuale, si presentò: “Cosa devo fare?...”, “Vedi quelle mele in fondo al magazzino?...”, “Si!...”, “Devi separare le grandi dalle piccole, a mezzogiorno tornerò a vedere cos’hai fatto!...”.

Venne mezzogiorno ed il Contadino tornò, ma stavolta trovò il mucchio di mele intatto ed il Dirigente davanti al mucchio con una mela nella destra ed una nella sinistra che continuava a guardarle alternativamente. “Che t’è successo?!... Perché non hai fatto nulla?!...”, disse il Contadino allibito, “Hai ragione!...”, disse il Dirigente, “Ma adesso c’era da decidere!...”.

Sentii questa storiella come dissacrazione del poco decisionismo presente nella Tecnostruttura pubblica, non so come finisce, ognuno metta la conclusione che vuole, ma la situazione reale, in molti casi non è diversa: esempi di grandi Dirigenti pubblici che per decidere “aspettano l’imbeccata o la benedizione di qualcuno più in alto” ce ne sono stati (e ce ne sono) tanti, forse troppi… Purtroppo è un fatto terribilmente normale che fa si che, a tutt’oggi, non sia la Tecnostruttura a guidare l’azione della Politica, ma l’esatto contrario. Se questo, poi, lo si miscela con un modello di sviluppo che mostra evidenti scricchiolii ne sortisce un autentico “cocktail bomba”: attesa l’incapacità del binomio Tecnostruttura-Politica di creare una sana dialettica costruttiva, ad esso si sostituisce il potere economico e la conseguente crisi viene pagata, spesse volte, dalle fasce più deboli. Solo quegli stati che hanno saputo mantenere viva la suddetta dialettica hanno la forza di fronteggiare il momento critico, ragione di più per affermare che serve un cambio culturale profondo: se la Tecnostruttura non è capace di dare riscontro misurabile d’una “Public Policy” derivante da una decisione politica ci sono ben poche speranze che la Politica trovi soluzioni: chi gli può fornire metriche se colei che materialmente detiene i capitoli di spesa (la Tecnostruttura) si limita a dirgli materialmente “SI” senza avanzare piani di “investimento pubblico” e quindi senza “decidere”?

Non bisogna farsi ingannare, né dire che “non c’è nulla che funziona”: a volte i suddetti piani di investimento ci sono, ma sono realmente perseguiti? Ho seri dubbi, giacché un piano d’investimento fatto da una organizzazione passa necessariamente dalla condivisione del medesimo al suo interno e la condivisione non è una mera trattativa sindacale volta meramente a “distribuire” le risorse che ne potrebbero derivare, ma una raccolta di idee che promanano dai singoli componenti dell’organizzazione e la loro sintesi e valorizzazione alla luce della strategia da perseguire. I Sistemi Informativi, ormai praticamente coincidenti coi Sistemi Informatici, servono soprattutto a questo in questo periodo di pesanti tagli e ristrutturazioni e alla Tecnostruttura il compito di trarre il massimo dalle opportunità che danno. La telematizzazione dei servizi, la condivisione di informazioni ai sensi delle vigenti leggi (in Italia, il Codice dell’amministrazione digitale di cui al D. Lgs. 82/2005 e successivi), l’uso diffuso della Posta Elettronica Certificata, i processi produttivi modellati e semplificati nell’architettura Intranet/Extranet/Internet sono opportunità enormi per superare l’attuale fase di stallo, ma occorre perseverare e questo lo si può fare solo chiamando a raccolta tutte le intelligenze a disposizione. E’ questa la vera “Business Intelligence”, quella che necessariamente passa attraverso la reale valorizzazione della risorsa umana ed un sano principio di meritocrazia che, specialmente qui in Italia, stenta a decollare.

Alcuni direbbero che chiamare a raccolta tutte le intelligenze in azienda è utopia: non è vero!... Il Privato c’è riuscito benissimo ed il Pubblico deve seguirne le orme. Il vero problema è che tra Pubblico e Privato cambia l’oggetto di business: il Privato massimizza i profitti, il Pubblico massimizza l’utile socio-economico affinché diventi crescita e competitività e questo non è ancora ben percepito, né tantomeno attuato. Si potrebbe dire che il Privato seleziona liberamente le sue risorse ed il Pubblico non può farlo, questo è vero e le recenti leggi hanno comunque dato impulso ad una miglior selezione, ma, a mio avviso l’hanno fatto nel modo sbagliato in un contesto altrettanto sbagliato: il focus (anche come prassi generalmente attuata) è concentrato sugli “obblighi del dipendente” senza abbinargli (almeno nei fatti e nelle politiche interne) la “cultura del risultato”. Ci sono senz’altro “obblighi”, ma, parallelamente, va creato un percorso di crescita accessibile a ciascun dipendente e solo dalla contemperazione delle due variabili attuare il processo selettivo, non solo di reclutamento, ma anche di gestione della risorsa umana.

In parole più semplici, non basta dire al dipendente che deve essere presente un certo numero di ore, ma bisogna anche dargli la possibilità d’esprimere le sue idee progettuali nel confezionamento del risultato che può dare e far si che questo possa spenderselo in una progressione di carriera alla luce d’una managerialità diffusa di tutta la filiera organizzativa. Le Intranet sono un ottimo collante e viatico per perseguire il suddetto principio, ma vanno sfruttate a pieno, altrimenti sono solo gigantesche calcolatrici che “a domanda rispondono” senza dare valore aggiunto.

Sarà un percorso lungo che affonda le sue radici nella storia e nella gioventù della Repubblica Italiana. Dopo la seconda guerra mondiale c’era un altissimo tasso di sottocultura ed analfabetismo, era ovvio che negli enti le circolari fungessero da “Tavole della Legge”. Ora il tasso di scolarizzazione è alto e quello culturale anche, ci si può permettere, dunque, d’osservare le normative interne con un occhio più critico e, pur nel loro rispetto, perseguire il risultato dove vogliono giungere esplicitandolo, semmai, assieme ai livelli più alti attraverso una catena decisionale che, con la tecnologia disponibile, potrebbe reagire in brevissimo tempo creando, nel tempo una cultura aziendale diffusa, accessibile e dinamica. Questo non è utopia, è realtà se solo si ha la volontà di perseverare valorizzando in azienda il vero capitale: quello umano. L’Ict, adesso, dà concretamente la possibilità di liberare il pubblico dipendente da compiti ripetitivi esaltando quella che è la sua vera essenza: la possibilità di contribuire al miglioramento delle performances aziendali attraverso il suo contributo di idee e decisioni. E’ questa la prossima sfida ed il prossimo orizzonte d’uno sviluppo sostenibile. E’ questo la nuova “vision” cui può portare l’Ict.

Sentivo, pochi giorni fa, che un comune della Sardegna (Comune di Calrloforte) è diventato il primo comune a “impatto zero” attraverso l’uso di fonti rinnovabili d’energia e d’una fitta rete informatica di controllo dei consumi e dei servizi. Penso sia un esempio da emulare e migliorare, non uno dei tanti spot che “fa notizia”.

Questo è il secondo post del “Capitano Kirk”, che lascia già intravedere la rotta verso il prossimo pianeta… Ne seguiranno altri, ve l’assicuro, basati su esempi e calcoli su potenziali scenari… Il viaggio è appena cominciato: “Ai comandi Spok!...”

1 commento:

  1. Cominci a piacermi, Capitano... Stai centrando ed esponendo concetti che tutti pensano e nessuno dice, per timore, perbenismo, "pancia piena" o chissà che... Esalti la Rete che e' quasi una negazione delle gerarchie ed una esaltazione delle "adhoc-crazie" che si evolvono col contesto... Bello! Ma, fatto un debito parallelismo con un mito di Platone, il "cavallo nero" (anima irascibile) ed il "cavallo bianco" (anima concupiscibile) devono essere comunque guidati dall'auriga.
    La gerarchia, dunque, non può essere sacrificata sull'altare dell'assemblearimo, ma deve essere illuminata dalle idee di tutti e saperne trarre sintesi. La Rete può liberare le organizzazioni dalla ripetitività, e proprio per questo il Dirigente pubblico deve saper cogliere le opportunità che ciò comporta.

    LSculco

    RispondiElimina